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A Napoli, incontrando Bella 'mbriana e Munaciello…

Autore: dott. Carlo Alfaro | Pubblicato Settembre 2017 in Cultura

Le leggende del folclore napoletano assumono corpo e voce a Napoli con Teatro in Pillole di Stefania Russo, che con i personaggi della Bel­la ’mbriana (interpretata da Stefania Ciancio) e del Munaciello (interpretato da Carlo Alfaro) ha dato quest’anno il benvenuto ai visitatori della Napoli sotterranea nella Galleria Borbonica, e dello sto­rico Chiostro di San Domenico Maggiore. Teatro in Pillole è un prestigioso format artistico-teatrale-ga­stronomico itinerante, ideato e diretto da Stefania Russo, che in tre anni di vita si è imposto come un ap­puntamento mensile imperdibile per centinaia di fedelissimi che si appassionano alla gara di piccoli atti teatrali di massimo dieci minuti ciascuno. “Io e Carlo siamo felici di portare ai fans di Teatro in pillole il calore e la magia delle leggende del folclore napoleta­no, attraverso i personaggi simbolo del patrimonio culturale partenopeo”, commenta Stefania Ciancio.

La Bella ‘mbriana, nella credenza popolare na­poletana si manifesta in forma di geco grigio, oppure come una bella ragazza che ondeggia tra il chiaro-scu­ro delle tende mosse dalla brezza di vento in un bel pomeriggio di sole: da qui il nome che fa riferimento alla meridiana, cioè alla controra. Mai offenderla per­ché può diventare vendicativa, avendo un carattere irascibile, permaloso e possessivo, per cui si aggira tra le pareti domestiche dispensando ai suoi abitanti buona sorte, ma se si sente respinta, è capace di com­piere una serie innumerevole di malefatte di ogni tipo. Quando si entra in casa, bisogna salutarla ad alta voce, perché vuole rispetto e riverenza. Alcuni per ingraziar­sela sono soliti apparecchiare la tavola con un posto in più anche per lei. Inoltre, le va sempre lasciata una sedia libera, perché se tutte le sedie fossero occupate, la nostra Amica potrebbe infatti andare via offesa, con tutte le sciagure derivanti dalla mancata ospitalità. Addirittura, la superstizione vuole che se si ristruttura l’appartamento lo spirito si può offendere a morte e si può essere colpiti per ripicca dalla morte di un caro, come recita l’antico proverbio “casa accunciata morte apparicchiata”.

Il suo antagonista di sempre è ‘u munaciello, che rappresenta l’anima goliardica del popolo napole­tano, lo spirito bizzarro, dal comportamento impreve­dibile, a volte positivo, altre volte dispettoso. Gli storici ritengono che la figura del monaciello risalga agli inizi del 1600, quando la città era talmente estesa che il vecchio acquedotto e le innumerevoli cisterne pluviali non bastavano più all’assetata città. Nel 1629 un facoltoso cittadino napoletano, il Carmigna­no, costruì un nuovo acquedotto riutilizzando i canali di tufo scavati nel IV sec. a.C. dai coloni greci che fon­darono l’allora Neapolis. I condotti in questione sono quelli che formano la Napoli sotterranea, una seconda città che si estende per circa 10mila mq., da via Anti­caglia a S. Gregorio Armeno, sotto l’odierna Napoli. Gli scavatori del nuovo acquedotto, i cosiddetti “poz­zari”, avendo bisogno di difendersi da quel 90% di umidità che impregna l’aria del sottosuolo napo­letano, indossavano lunghi mantelli scuri e un el­metto sulla testa. Ogniqualvolta avevano bisogno di risalire in superficie, si tiravano su con delle corde dai pozzi preesistenti, che sboccavano nelle strade citta­dine. Talvolta però erano essi stessi a scavare in alto per risalire o per aprire dei nuovi pozzi nei cortili delle case, e siccome l’occasione fa l’uomo ladro, trovan­dosi nelle case dei cittadini napoletani, spesso e volentieri ne approfittavano per fare uno spunti­no col cibo altrui o per rubare qualche oggetto di valore. Le persone, che intanto notavano sparire cibi e ori dalle proprie case, cominciarono a nascondersi per capire cosa succedesse e, vedendo questi uomini avvolti in un lungo mantello, con quell’elmetto che poteva tanto sembrare la chierica di un francescano, cominciarono a dare la colpa di quegli strani eventi ai “monacielli”. Fu così che il monaciello venne ad identificarsi nella fantasia popolare come un ometto piccolo, dal tipico aspetto di un frate, che si inserisce nelle case altrui e fa dispetti e furti.

Una storia più romantica su Bella ‘mbriana e Munaciello fa risalire invece l’inizio della storia di questi due personaggi intorno all’anno 1445, durante il regno Aragonese, come una sfortunata coppia di una madre e un figlio. Si racconta infatti che il munaciello fosse un bambino di statura nana e dal corpo deforme, figlio di una giovane donna di buona famiglia, tale Caterinella Frezza, che si era perdu­tamente innamorata di un ragazzo di umili origini di nome Stefano Mariconda. L’amore tra la dolce Caterinella, figlia di un ricco mercante di stoffe, e il bel garzone Stefano fu fortemente contrastato dalla famiglia di lei, che lo fece uccidere sotto gli occhi del­la ragazza, facendolo precipitare dai tetti attraverso cui la raggiungeva per i loro incontri segreti. Accecata dall’immenso dolore, Caterinella decise di trascorrere il resto della sua vita in totale isolamento in un con­vento, dove di lì a pochi mesi diede alla luce un esseri­no mostruoso, ma incredibilmente dolce. Il bambino crebbe fra le amorevoli cure delle suore che gli cucirono un saio con un cappuccio, per protegger­lo dagli occhi indiscreti mascherandone le deformità. Fu così che quando il ragazzo correva per le strade di Napoli veniva chiamato “lu munaciello”, inseguito da insulti e strali del popolo per il suo strano aspetto.
Fantasie, leggende, miti…favole…favole che non sono vere, ma che ci servono per orientarci nel mon­do, perché, come scrive Aldo Busi, “la vita ha le paro­le che può, la fiaba le parole che deve”.