Venerdì 03 Maggio 2024, 03:19

Una Giornata Nazionale dedicata a chi soffre di mal di testa

Autore: a cura del dott. Carlo Alfaro | Pubblicato Luglio 2021 in Salute

Il 21 maggio 2021 si è celebrata la tredicesima “Giornata Nazionale del Mal di Testa”, intitolata quest’anno “Un minuto per il tuo mal di testa” e improntata a una campagna di sensibilizzazione attraverso i social rivolta ai pazienti. Promossa dalla Società Italiana di Neurologia - SIN, in collaborazione con l’Associazione Neurologica Italiana per la Ricerca sulle Cefalee - ANIRCEF e la Società Italiana per lo Studio delle Cefalee – SISC, la giornata ha visto la creazione di una pagina Facebook (“Giornata Nazionale del Mal di Testa”) su cui sono stati postati 30 video-interventi di neurologi, della durata di un minuto ciascuno, con pillole informative per accrescere conoscenze e consapevolezza delle persone sulla cefalea.
Secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, la cefalea interessa 1 persona su 2 almeno una volta l’anno. La patologia riguarda qualunque fascia di età e la prevalenza aumenta con l’aumentare degli anni: dal 10% circa nei bambini al 40% negli adolescenti. Prima della pubertà sono più colpiti i maschi, dopo le femmine. Dagli anni ‘80 ad oggi i casi di cefalea nei bambini e negli adolescenti sono aumentati di oltre il 60%. Si ritiene ciò dipenda dai cambiamenti degli stili di vita dei bambini, sempre più allineati a quelli degli adulti, pieni di impegni scolastici ed extrascolastici, con pochi momenti di puro svago e tempi vuoti, e abitudini poco salutari come andare a letto tardi e dormire poco, trascorrere molto tempo davanti a smartphone, tv, tablet o video-giochi, fare un’alimentazione irregolare come orari esempio mangiare la notte o saltare la prima colazione, oltre ad altri aspetti della società attuale quali il tempo pieno a scuola, l’incremento delle separazioni, l’accentuato spirito di competitività, il crescere di ansia e stress in età sempre più precoci.
L’impatto della cefalea sulla qualità della vita di chi ne soffre è invalidante ed è stato accettato in Italia anche a livello istituzionale: nel luglio 2020 la cefalea primaria cronica è stata riconosciuta dal Senato come malattia sociale, qualora persista da almeno un anno e sia diagnosticata da uno specialista presso un centro accreditato per la diagnosi e la cura delle cefalee.
Le cefalee sono distinte in “primarie”, cioè senza una causa sottostante fisica, organica, che sono le più frequenti, e “secondarie”, legate a patologie di altri organi e apparati (disturbi della vista, anemia, sinusiti, patologie odontoiatriche, disturbi ortopedici e posturali, patologie cerebrali, ipertensione arteriosa, infezioni, intossicazioni e avvelenamenti ecc).
Le cefalee primarie comprendono l’emicrania, la cefalea di tipo tensivo, la cefalea a grappolo.
L’emicrania è caratterizzata da attacchi parossistici di dolore pulsante che durano mediamente dalle 4 alle 72 ore. Gli intervalli liberi tra le crisi sono di durata variabile. Di solito il dolore è a localizzazione fronto-temporale e monolaterale, coinvolgendo metà della testa e del volto, anche se nei bambini può essere bilaterale. Il dolore è aumentato dalle attività fisiche, anche il semplice movimento, il che impedisce a chi ne è colpito di attendere alle sue normali attività. La crisi si associa spesso a disturbi come nausea, vomito, intolleranza alla luce e ai rumori (fonofobia e fotofobia), fastidio per gli odori (osmofobia), dolori all’addomine, agli arti o al collo, vertigini, pallore, abbattimento, sonnolenza, anoressia, irritabilità, agitazione.
A volte gli attacchi vengono preceduti da disturbi neurologici (“aura”), transitori e per lo più di breve durata, quali: disturbi della vista (visione di flash luminosi, immagini scintillanti, linee a zig-zag o a ferro di cavallo, macchie, offuscamento della vista, perdita transitoria di parte del campo visivo), disturbi sensitivi (formicolii, punture di spillo, sensazione di addormentamento di una parte del corpo, riduzione della sensibilità di un arto o di metà del corpo, difficoltà a muovere un arto o metà del corpo), disturbi del linguaggio (es. difficoltà ad esprimersi). L’emicrania nel bambino può manifestarsi con sintomi dolorosi ricorrenti che possono essere precursori della cefalea, definiti come “equivalenti emicranici” o “varianti emicraniche” o “sindromi episodiche”, in passato chiamate “sindromi periodiche”: ad esempio, coliche addominali dei lattanti e dolori addominali ricorrenti dei bambini di età scolare e adolescenti, torcicollo parossistico benigno, vertigine parossistica benigna, vomito ciclico, emicrania addominale.
L’emicrania colpisce oltre un miliardo di persone in tutto il mondo (il 14-20% della popolazione mondiale); in Italia, ne soffrono 6 milioni di persone (il 12% della popolazione). Due terzi dei pazienti sono donne: in Italia si stima ne soffrano il 9% degli uomini e il 18% delle donne, nelle quali peraltro gli attacchi sono più severi, più lunghi e più disabilitanti e con più sintomi associati. L’emicrania è stata identificata dall’Oms come la malattia che causa maggiore disabilità nella fascia di età tra 20 e 50 anni. Si parla di emicrania “cronica” se il dolore è presente più di 15 giorni al mese per 3 mesi consecutivi. L’emicrania riconosce una base poligenica, su cui si innestano numerosi fattori ambientali che fungono da “triggers”, scatenanti gli attacchi, come stanchezza, sforzo fisico, ipoglicemia, alcuni alimenti (es. quelli contenenti amine vasoattive, tiramina, caffeina), ondate di calore, basse temperature, vento, alterazioni del ritmo sonno-veglia (perdere sonno o al contrario, dormire più del solito), viaggi (mal d’auto o mal di mare), fluttuazioni ormonali (ciclo mestruale), forti emozioni, stress.
Per l’inquadramento, è consigliabile tenere un diario delle crisi. Nella patogenesi dell’emicrania, vari e diversi stimoli possono attivare fibre sensitive trigeminali che innervano i vasi arteriosi intracranici, con conseguente rilascio di peptidi vasoattivi, che innescano vasocostrizione seguita da vasodilatazione e infiammazione neurogenica.
La cefalea di tipo tensivo si presenta come un dolore di tipo gravativo o costrittivo, continuo, con una sensazione di oppressione e peso alla testa, come una morsa. Di solito è bilaterale, diffuso su tutto il cranio o frontale, descritto come un dolore “a casco” o un “cerchio alla testa”. Ha una durata di alcuni minuti o ore o anche alcuni giorni (fino a una settimana). È la forma più frequente di cefalea, soprattutto dopo la pubertà. Fattori di predisposizione genetica possono creare la base su cui intervengono fattori ambientali quali disagio emotivo, stress, affaticamento, cattive posture, riduzione delle ore di sonno. Nel bambino, disturbi visivi (astigmatismo, miopia o ipermetropia) possono causare cefalea di tipo tensivo per eccessiva contrattura muscolare ai fini compensativi del deficit.
L’obesità è un fattore di rischio sia per l’emicrania che per la cefalea tensiva.
La cefalea a grappolo provoca attacchi dolorosi brevi (1-3 ore) molto intensi e lancinanti che si susseguono 1 o più volte al giorno per un periodo di tempo di circa 2 mesi (“grappolo”), alternati a periodi senza dolore. L’area interessata è quella oculare. Si associano lacrimazione intensa, arrossamento congiuntivale, abbassamento della palpebra (ptosi) e ostruzione nasale. Al contrario delle altre forme, colpisce prevalentemente gli uomini. In genere gli episodi si ripetono ciclicamente con una cadenza stagionale o di 1-2 periodi all’anno.
Segni di allarme per una cefalea di tipo secondario a patologie organiche sono invece: attacchi a esordio recente che peggiorano progressivamente in intensità, durata e frequenza, cefalea mattutina con vomito a getto non preceduto da nausea, attacchi notturni e violenti, localizzazione occipitale, insorgenza immediatamente dopo uno sforzo fisico, pregresso trauma cranico (entro 24-72 ore), associazione con febbre alta, rigidità nucale, alterazione della coscienza, sonno letargico. Tutti questi sintomi infatti possono far temere un’origine intra-cranica del dolore.
Esiste un legame anche tra cefalea ed epilessia: circa il 57% dei pazienti epilettici soffrono di cefalea, mentre l’emicrania con aura può sfociare in una crisi epilettica (migralepsy).
La terapia dell’attacco acuto si basa su ibuprofene o paracetamolo. Nel caso gli analgesici convenzionali non siano efficaci, si ricorre ai triptani, una classe di farmaci specifici per l’emicrania. Si tratta di agonisti dei recettori della 5-idrossi-triptamina, utilizzabili dopo i 12 anni di età. Un nuovo farmaco attivo per il trattamento acuto dell’emicrania è il Lasmiditan.
La profilassi è indicata quando la frequenza e l’intensità dei mal di testa siano tali da interferire con le attività quotidiane e sulla qualità di vita. I farmaci utilizzati sono calcio antagonisti (flunarizina), beta-bloccanti (propanololo), antidepressivi (amitriptilina), antiepilettici (topiramato, valproato sodico).
Purtroppo nei bambini la profilassi farmacologica funziona meno. Secondo una revisione sistematica con meta-analisi pubblicata su JAMA Pediatrics, condotta su 23 studi controllati randomizzati in doppio cieco per un totale di 2.217 pazienti, contrariamente alle terapie sintomatiche, relativamente efficaci negli episodi acuti, il livello di evidenza della superiorità degli interventi farmacologici rispetto al placebo nella profilassi dell’emicrania in bambini e adolescenti è sorprendentemente basso. Ciò che più colpisce è l’efficacia del placebo (paragonabile ai farmaci)!
La nuova frontiera sono gli anticorpi monoclonali, che puntano al meccanismo patogenetico dell’emicrania. Uno dei neuromediatori dell’attacco è infatti una proteina chiamata “peptide correlato al gene della Calcitonina” (Cgrp). La stimolazione dei recettori di questo neuro-trasmettitore scatena le modificazioni vascolari cerebrali che sono alla base del dolore. Gli anticorpi monoclonali che bloccano il Cgrp o il suo recettore hanno mostrato di ridurre il numero di attacchi e risultano efficaci anche nell’emicrania cronica e in quella resistente ad altri farmaci. Gli scarsissimi effetti collaterali li rendono particolarmente sicuri.
I trattamenti non farmacologici comprendono la neuromodulazione elettrica remota, la stimolazione magnetica transcranica, la stimolazione esterna del nervo trigemino e la stimolazione non invasiva del nervo vago. Poi ci sono gli approcci di tipo psicologico come la terapia cognitivo comportamentale e la tecnica della mindfulness.