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Osteopatia e Odontoiatria: lavoro in Equipe

Autore: a cura del dott. Silvio Giglio | Pubblicato Settembre 2020 in Salute

Negli ultimi anni sempre più odontoiatri si sono avvalsi della collaborazione degli osteopati. Le due branche odontoiatriche che più delle altre possono giovarsi della suddetta collaborazione sono: 1) l’approccio ai pazienti con disordini temporo-mandibolari; 2) l’approccio ai pazienti ortognatodontici.
I disordini temporo-mandibolari o TMD (Temporo-Mandibular Disorder) sono un insieme eterogeneo di patologie/disfunzioni a carico dell’articolazione temporo-mandibolare (ATM), dei muscoli masticatori e delle strutture correlate. L’eziologia dei Disordini Temporo-Mandibolari o Cranio -Temporo- Mandibolari è multifattoriale.
Fattori anatomici, scheletrici ed occlusali in passato ritenuti di fondamentale importanza, oggi vengono ancora considerati importanti ma meno rilevanti dei fattori bio-psicosociali . Altro fattore eziologico importante è quello legato ai traumi che possono rappresentare l’inizio della patologia. La diagnosi dei TMD è prevalentemente clinica.
La classica triade sintomatologica maggiore è rappresentata da: dolore muscolare e/o articolare, rumori articolari e limitazioni funzionali nei movimenti. Sono da considerarsi sintomi minori: cefalee; algie alla faccia, collo e denti; sintomi auricolari.
La valutazione diagnostica clinica è ispettiva, manuale e auscultatoria; in aggiunta, due esami strumentali considerati utili sono la risonanza magnetica per i tessuti molli e la tomografia computerizzata per i tessuti duri, ma solo in pochi casi. E’ Importante sottolineare che, stando alla letteratura più recente, il solo rumore (Click) che può comparire nei movimenti dell’ATM, non costituisce un’indicazione al trattamento.
L’ approccio terapeutico si avvale dell’applicazione di placche occlusali, di farmacoterapia, di terapia cognitivo-comportamentale o altri approcci in chiave bio-psicosociale e di terapia fisico-manuale, ovviamente compresa la medicina manuale osteopatica. Così declinato l’approccio ai TDM può far pensare che l’odontoiatra e l’osteopata seguano due percorsi nettamente distinti o comunque specifici di ogni branca ma senza particolari integrazioni. Ed è quello che viene riferito anche dagli operatori. L’osteopata ritiene di riuscire nella quasi totalità dei casi a trattare il paziente senza l’ausilio dell’odontoiatra e viceversa, l’Odontoiatra pensa che si possa fare tranquillamente a meno dell’Osteopata. Ed entrambe queste categorie di operatori possono vantare successi nelle loro terapie.
Il problema sorge quando lo stato/condizione del paziente non è così lineare, come per esempio quando lo stesso paziente ha un blocco chiuso di una Articolazione Temporo-Mandibolare con una importante componente di spasmo muscolare che non è limitata al territorio cranio facciale omolaterale ma coinvolge anche segmenti del tronco e/o degli arti. In questi casi combinando l’approccio odontoiatrico da un lato e la semeiotica manuale cranio cervicale proprie della medicina manuale osteopatica dall’altro, ci può dare indicazioni se le asimmetrie dell’architettura cranica sono congrue con la mobilità mandibolare e con i dati derivanti dalla semeiotica palpatoria dell’ATM con muscolatura correlata.
I dati diagnostici così integrati possono consentire di valutare in modo più completo quale percorso terapeutico scegliere. In alcuni casi il solo approccio manuale può rivelarsi sufficiente. Ad esempio, laddove vi sia una compressione articolare sostenuta anche da una perdita di verticalità orale, l’applicazione di una placca occlusale avrà da un lato un effetto ortopedico di distrazione del condilo dalla fossa glenoide con riduzione della compressione articolare e dall’altro, se realizzata in tal senso, un effetto fisioterapico di riprogrammazione motoria con un effetto riequilibrante dell’impulso ritmico cranico .
Secondo la nostra esperienza, non si dovrebbe considerare il riposizionamento mandibolo-cranico solo in ottica biomeccanica, ma, soprattutto, in un’ottica “informazionale”, in quanto la placca non si limita a decomprimere l’ATM ma rimodula anche le afferenze provenienti dai muscoli, lingua, guance e labbra. L’approccio terapeutico combinato al TMD, per quanto scritto sopra, dovrebbe da un lato portare il più rapidamente possibile alla riduzione dell’acuzie sintomatologica e dall’altro prevenire la cronicizzazione, che secondo alcuni autori può essere legata proprio a fenomeni di sensitizzazione centrale.
La sensitizzazione è generalmente definita come un processo di apprendimento non associativo, nel quale gli stimoli ripetuti causano una progressiva amplificazione di una risposta. La sensitizzazione è stata considerata una forma di memoria «nocicettiva» a causa delle analogie tra i meccanismi che la caratterizzano e i meccanismi mnemonici.
La Sensitizzazione Centrale è un processo cellulare di accresciuta eccitabilità che comprende un’elaborazione sensoriale alterata nel SNC. Secondo una prospettiva terapeutica, è importante considerare che il contatto manuale potrebbe costituire un potenziale stimolo capace di modificare lo stato di sensitizzazione. In effetti, recenti evidenze hanno dimostrato l’importanza di un tocco delicato/affettivo per attivare le fibre C Tattili (CT ) per modulare le vie interocettive. Ciò causa una reazione a livello centrale la quale a sua volta evoca una serie di eventi neurologici che inducono il SNA a rispondere a un determinato stimolo.
L’odontoiatra, nel paziente con TMD, potrà applicare placche occlusali, ma, se alla disfunzione e/o patologia concorre una componente di ipertono muscolare che coinvolge primariamente il cingolo scapolare di un lato e solo in seconda battuta si estende alla muscolatura degli elevatori mandibolari con conseguente compressione dell’ATM da quel lato, l’effetto terapeutico decompressivo della placca potrà portare soltanto un parziale sollievo e neanche in tutti i casi.
La placca, a seconda del criterio costruttivo, talvolta, potrebbe anche peggiorare la sintomatologia legata all’ipertono muscolare. Per converso il trattamento osteopatico, nel caso in cui all’origine del disturbo temporo-mandibolare vi sia, per esempio, una perdita di verticalità intra-orale unilaterale, potrà dare un sollievo solo temporaneo perché dopo alcuni cicli di deglutizione e di masticazione le componenti tissutali e fluidiche torneranno nello schema di disfunzione. Non essendo stato ripristinato, infatti, un adeguato supporto strutturale a livello di verticalità, anche a livello intra-articolare la distanza condilo fossa, si ridurrà di nuovo subito dopo il temine della manipolazione, con conseguente compressione delle parti cartilaginee, sinoviali e legamentose. Per questo un lavoro sinergico concorre ad un successo terapeutico e in tempi relativamente più brevi.

Dott. Silvio Giglio
Fisioterapista Osteopata D.O.m.Ro.I
II Trav. S.Michele 7 - Piano di Sorrento
Cel. 338. 83.17.708